martedì 19 ottobre 2010

LE MIGLIORI GUIDE ITALIANE SUL VINO

In questi giorni sono uscite le migliori Guide italiane sul Vino (I vini d'Italia 2011 l'Espresso, la Guida Slow Wine, la Guida Cinque Grappoli AIS.....) ma mi piace ricordare che i migliri vini italiani non sono solo nelle migliori guide ( scusate il gioco di parole) e per spiegarvi questo vi voglio riportare alcune parole della novella IL VINO DI CAREMA scritta da Mario Soldati :" <<Se volete trovarvi bene in italia>> spiego ad amici stranieri <<dovete scoprirla per conto vostro, affidandovi alla vostra fortuna e al vostro istinto,perche una grande legge dell'Italia è proprio questa: che , da noi, tutto ciò che ha un titolo, un nome, una pubblicità, vale in ogni caso molto meno di tutto ciò che è ignoto, nascosto individuale le bottiglie di vino con etichetta sono quasi sempre cattive;le bottiglie senza etichetta il vino sciolto quasi sempre buoni . Lo so che in Inghilterra alcuni ottimi wihiskj sono proprio quelli delle marche più note. E così in Francia certi Bordeaux e Bourgogne. Ma , in Francia e in Inghilterra, da secoli e non soltanto per vini e liquori, esiste un ponte tra società e individuo, una civiltà organizzata, una gerarchia del costume. La nostra civiltà non è inferiore, ma diversa. E' una civiltà anarchica, scontrosa, ribelle. Da noi l'uomo di valore, come il vino prelibato, schiva ogni pubblicità: vuole essere scoperto e conosciuto in solitudine, o nella religiosa compagnia di pochi amici." .
Dovete considerare che questo Mario Soldati lo scriveva 55 anni fa (1955) qundi alcune cose della Novella oggi sono cambiate in meglio, infatti è possibile trovare in "bottiglie con l'etichetta" vini autentici ed espressione di un territorio, ma non è questa la cosa importante .
  Quello che secondo me Mario Soldati voleva insegnarci è giudicare un vino, di conseguenza un territorio,
non partendo dalla risonanza mediatica e pubblicitaria, ma dalla sua sincera espressione, dalla bontà delle persone che lo producono e dalle sensazioni "irreali" che un vino di qualità riesce a regalare.
Non so se sono stato bravo a esprimere il mio pensiero ma la prossima volta che giudicate un vino che non conoscete provate ad andare nella zona dove viene prodotto, conoscete la gente del posto che beve questo vino tutti i giorni, assaggiate i piatti locali con cui questo vino viene esaltato, poi acqustate una bottiglia di vino sconosciuto da un produttore del luogo che vi ha offerto vino e cordialità (tipica italiana).....


Tornate a casa e dopo qualche tempo, aprite quella bottiglia, degustate il vino chiudendo gli occhi (dopo naturalmente  averne osservato il colore) e....

domenica 17 ottobre 2010

MLECNIK CHARDONNAY 2004 , NATURALMENTE SLOVENIA

La famiglia Mlecnik produce vino in Slovenia da quasi 200 anni. A partire dal 1982  a portare avanti la tradizione è Valter Mlecnik piccolo produttore di Bukovica, paesino al confine con l'Italia,  conosciuto nel 2009 a Villa Boschi nella manifestazione parallela al Vinitaly, Vino Vino Vino dove partecipano tutti i produttori del Gruppo Vini Veri e  La Reinassance du Terroir. Mi colpì allora  questo Chardonnay, per la sua complessità e la forte presenza dei tannini che se degustato a occhi chiusi sarebbe sembrato di bere un rosso, accompagnati da una viva acidità, capirete che stiamo parlando di un vino di difficile comprensione, inusuale ma che allora mi convinse a tal punto che decisi di acquistarne una bottiglia.
Ho un bellisimo ricordo anche di Valter un uomo pacato e gentilissimo innamorato della sua terra che mi spiegò in poche parole  il suo pensiero, che vi riporto: " Tutto quelllo che la natura crea, è perfetto nella sua unicità. L'unica cosa di cui ha bisogno è la possibilità di maturare in pace e compiere la sua missione. Naturale significa che tutto è collegato e in armonia con tutto".
Comunque venerdi pomeriggio mi sono deciso ad aprirla per poterla bere a cena.
La sorpresa è stata grande  nel bicchiere si presentava di un colore ambra intenso dai riflessi color rame, nel versarlo mi sono accorto di una grande consistenza, a quel punto ho pensato di aver aperto un vino ormai andato!
Fino a che non sono stato travolto da l'intensità dei profumi, allora mi sono deciso di avvicinare il naso al bicchiere dopo una breve ma decisa roteazione e mi sono trovato davanti ad un vino sicuramente complesso: (sensazioni personali) profumi di frutta secca fra tutti la nocciola, scorza di arancia, miele di tiglio, smalto-vernice, caramello...non voglio annoiarvi.
All'assaggio il vino è completamente cambiato da come me lo ricordato è diventato decisamente morbido, sapido con una notevole freschezza e intenso e lunghissimo, in bocca ritornano decise le sensazioni di nocciola e miele di tiglio, scorza d'arancia.
Unico "difetto" secondo me è la gradazione alcolica che rende difficile berne più di un bicchiere,da ritiro di patente con i soui 14,8 gradi dichiarati in bottiglia.




Secondo me è sicuramente un Bianco da bere d'inverno con piatti molto strutturati e grassi, pesce in umido senza escludere le carni rosse, un vino di difficile comprensione se siete persone a cui piace provare qualcosa di diverso ve lo consiglio o  evitatelo se vi piacciono i bianchi leggeri e beverini.

domenica 10 ottobre 2010

Chianti Classico Antico Podere Casanova, Bucciarelli vs Atto a Divenire 1° round

Un giorno di ottobre un mio amico mi dice, conoscendo la mia passione per i vini meno conosciuti ma non per questo meno importanti, “Sabato si va a prendere il Chianti sfuso da un produttore che fa un vino fantastico” la parola vino sfuso non è che mi entusiasmasse “è un produttore che non è presente nelle guide per sua scelta e ci ha organizzato, in occasione di questa visita, anche un pranzo in azienda”, queste due ultime cose mi hanno fatto riaccendere l'entusiasmo.
Così Sabato 9 ottobre siamo partiti in 12 (grandi e piccini) alla volta di Castellina in Chianti, loc. La Piazza.
L'azienda non è facile da trovare, come accade spesso per le migliori, navigatore impazzito, cellulari che non prendono: impossibile contattare il Bucciarelli! … con noi però c'era quella consapevolezza che, primo o poi si arrivava …e così è stato.
Un posto fantastico, una collina ricoperta di boschi e vigne, le vigne del Bucciarelli curatissime, dove a regnare è un silenzio a cui ormai noi animali cittadini non siamo più abituati.


In cima a questa collina una piccola cantina, anch'essa molto curata e ad aspettarci c'era Massimo Bucciarelli, viticoltore da 4 generazioni, una persona schiva e introversa. Molto timido, all'inizio sembrava quasi disturbato dal nostro 'chiasso' cittadino, che inevitabilmente la 'combriccola' si porta dietro, e vi assicuro che per la prima mezz'ora alle nostre frequenti domande e legittime curiosità lui rispondeva sempre con pochissime parole.
Dentro di me è ritornata in mente l'ultima volta che ho conosciuto un produttore con un carattere simile, in Piemonte, Flavio Roddolo, e questo faceva aumentare la mia curiosità di assagiare il suo Chianti.

 (..anche qui è presente “Atto a divenire”..)

Il primo approccio è stato inevitabilmente con il vino sfuso (2007 e 2008) e nonostante non sia la mia passione, come avrete capito, è stato di mio gradimento. Finite le pratiche di riempimento damigiane (non era la classica visita con degustazione vini ma una semplice scampaganta fra amici), è giunta l'ora di pranzo e ci siamo spostati nel giardino dello splendido agriturismo, a bordo piscina.
Ad aspettarci c'era la mamma del Bucciarelli ed una bella tavola rotonda, apparecchiata sotto un gazebo, la giornata era splendida e la fame aumentava (la fame è brutta!).

L'esuberanza del gruppo sembrava ancora bloccare il Bucciarelli, che a pranzo già iniziato non si era ancora seduto a tavola, non sia mai! Io insisto fino a che finalmente decide di unirsi a noi.
Pranzo semplice, alla toscana, pomodori, cavolo crudo all'insalata, pane casareccio, salame e prosciutto partito rigorosamente “al coltello”: da applausi tutti i prodotti del padre del Bucciarelli. Era tanto che non mangiavo un prosciutto così.
Alla mia domanda su dove tenesse i maiali, il Bucciarelli mi risponde tranquillamente : “Nel bosco” (...naturalmente!). É seguito un'attimo di silenzio misto a sbigottimento e gioia perchè quella risposta sintetica era la garanzia dei prodotti del Bucciarelli.
Una mia amica (vegetariana) ha poi chiesto da dove venissero quei buonissimi pomodori, questa volta è stata la mamma del Bucciarelli a rispondere, mentre ne riportava per la seconda volta un piatto, rimanendo quasi stupita da una simile domanda: “Dall'orto!”
Il tempo passava e piano piano Massimo ha iniziato a sciogliersi, fino a che non ha portato in tavola ciò che io desideravo: una bottiglia del suo Chianti, a cui ha aggiunto anche una di rosato, non servito freddo ma “fresco di cantina”.
A quel punto mi sono 'scollegato' dalla chiassosa combriccola e mi sono concentrato su questi due vini, il rosato fruttatissimo e intenso al naso, frutta rossa (ciliegia) e in bocca dotato di una buona freschezza e struttura, con il salame del Bucciarelli ne avrei bevuto una bottiglia da solo. Il Chianti mi ha lasciato di sasso, un bellissimo colore rubino intenso, con sfumature granata, al naso intenso con un bellisimo profumo di frutta rossa ma a prevalere era la viola, timbro del Sangiovese giovane nel Chianti, in bocca è intenso, fresco, molto sapido e con tannini con i muscoli. Mi fa pensare al classico abbinamento che pochi Chianti di oggi, con l'avvento dei chianti fatti in barrique e tagliati con cabernet e merlot, reggono: la bistecca alla Fiorentina!
Ritorno mentalmente a tavola con i miei amici e mi accorgo che il Bucciarelli mi guarda e mi chiede, sorridendomi “Allora ti piace?” la mia risposta non poteva che essere positiva.
Alla fine del pranzo salutiamo i gentilissimi padroni di casa impegnati nella vendemmia e ritorniamo a casa lasciando (per ora) questo posto incantevole.
Non prima però di chiedere al Bucciarelli qualche botttiglia da degustare con “calma” e acquisto, consigliato da lui, un Chianti Classico Riserva del 2005 e uno del 2006, lasciandolo con la promessa di ritornare per una visita 'meno chiassosa'.
Appena tornato a casa corro a comprare una bistecca, il desiderio di avere la conferma di quell'abbinamento pensato a tavola era più forte di me.
Quindi decido di aprire il Chianti Classico Riserva 2005.


La sorpresa è stata pari alla bontà di questo vino, dal colore granata intenso, al naso appena versato nel bicchiere è di un intensità pazzesca che lentamente va a stabilizzarsi ma la complessità rimane ed è grande, in bocca è altrettanto intenso, ottima la corrispondenza gustolfattiva, con tannini e sapidità che si fanno sentire, lunga la persistenza.
Al primo assaggio mi sembrava di essere stato troppo precipitoso ad aprire questa bottiglia, poichè questo vino ha le caratteristiche di un vino che non è ancora pronto(da lungo invecchiamento) ma con la Bistecca questa mio senso di colpa è sparito, sostituito da una gran Goduria!

( ..naturalmente la bistecca l'ho mangiata cotta!!)

Comunque non è finità qui mi sono ripromesso di ritornare dal Bucciarelli, con la certezza poi di aggiungerlo fra i vini di www.attoadivenire.com.....

domenica 3 ottobre 2010

ARTURO PELIZZATTI PEREGO, UN UOMO DI IERI, UN VINO DEL DOMANI?

Voglio parlarvi di un vero Vigneron, Arturo Pelizzatti Perego, uno degli uomini che hanno fatto tanto per la sua terra (Valtellina) e che purtroppo oggi mancano  nel nostro paese. Arturo nasce e vive in Valtellina, bellissima e aspra terra, decantata ultimamente in uno splendido documentario di Ermanno Olmi, che si chiama "Rupi del Vino" e che vi consiglio di vedere. Ho ripreso al storia dal sito dell'azienda .....spiega benissimo il valore di quest'uomo:" La storia di quest'uomo inizia nel dicembre 1973: il padre di Arturo, il Sig. Guido, muore di un brutto male. A causa di contrasti familiari legati all'eredità, Arturo è costretto a vendere la sua azienda, che all'epoca era una delle più grandi in Valtellina con ben 80 ettari, insieme al marchio di famiglia e alle cantine a Winefood, gruppo a capitale svizzero-americano che acquisì in conduzione anche le vigne. Forse, però, la sofferenza più grande doveva ancora arrivare. Arturo non lasciò fisicamente i suoi vigneti, continuò a seguirli alle dipendenze di Winefood. Per lui era stato individuato il ruolo di responsabile della produzione, ma di fatto non riuscì mai a ricoprire quell’incarico come voleva. Fu costretto ad assistere passivamente allo sconvolgimento delle sue idee di viticoltura e a vedere compromessa la stessa fama dei vini Pelizzatti, presto diventati prodotti di massa senza più rispettare, ad esempio, alcun rigore nell’affinamento. La rivoluzione moderna era giunta anche in Valle. E nel confronto con il nuovo mercato, i vini di Valtellina finivano nel calderone generale faticando a farsi riconoscere. A quel punto l’unica strada percorribile sembrò l’abbandono del mondo del vino. Arturo ci provò: lasciò il suo impiego da Winefood e cercò altro. Ma non poté ingannarsi. Nel 1983 mise in atto il suo piano: riprendere possesso dei vigneti e tornare a riempire le cantine sparse nel centro di Sondrio. Winefood nel frattempo non se l’era passata troppo bene e le vigne erano passatte niente meno che al Gruppo Italiano Vini. Nonostante questo Arturo è riuscito a recuperare una discreta superficie di vigneti e rientrare in possesso anche delle cantine utilizzate per l’affinamento al “Buon Consiglio”, sotto ai vigneti di Grumello. Un'operazione non facile, infatti furono molti i tentativi per ostacolare l'impresa. Nel 1987 le cantine volute da papà Guido diventarono nuovamente il quartier generale della famiglia Pelizzatti Perego. Serviva però un nome, perché il marchio di famiglia restava in mani altrui. Si fece ricorso alle iniziali del fondatore, Arturo Pelizzatti Perego: azienda diventò Ar.Pe.Pe. A quale Arturo riferirsi? Da una parte Arturo, padre di Guido, aveva fondato l’azienda, dall’altra il nipote l’aveva fatta rinascere. Ognuno può liberamente interpretare. Riprendere non è uno scherzo. C’è da lavorare sul fronte della credibilità. Arturo, di fronte a questa sfida, mette in campo tutta la tenacia delle sue convinzioni. È disposto al rischio, ma non al compromesso e, al di là di ogni presunzione, si mostra sicuro di sé e rigido verso ogni condizionamento esterno. Per questo le sue idee sono bollate come eresie enologiche. Attraverso la sua nostalgica cocciutaggine, Arturo mira al superamento dell’idea di mediocrità dei vini valtellinesi, al ritrovamento della loro anima perduta; il perno della logica di produzione sta, secondo Arturo, nel giusto tempo di attesa. Per sei anni consecutivi i terrazzamenti a nord di Sondrio producono e per sei anni il vino entra nelle botti del “Buon Consiglio”, senza che ne esca una sola bottiglia. Per le prime vendite del Sassella Rocce Rosse bisognerà attendere fino al 1990.  Il tempo è realmente la via migliore per fare emergere le potenzialità del terroir? Il “purista” Arturo ha dato la sua risposta con i fatti. Aspettando e difendendo l’integrità del Nebbiolo, scartando la dolcezza dei passiti, chiudendo le porte alle mode. Così Arturo è diventato un viticoltore anacronistico, bersaglio di facili critiche da parte dei colleghi più sensibili alle esigenze del marketing. Impossibile, per di più, accettare e comprendere un simile immobilizzo di capitale, che ritardava il profitto e faceva schizzare in alto il prezzo finale della bottiglia. Tuttavia in casa Pelizzatti Perego non c’era intenzione di trattare con i modernisti, c’era piuttosto il pensiero di recuperare un credito perduto, peraltro in un clima di confusione tra i due marchi di famiglia. Di questi, il più antico, finito nelle mani del Gruppo Italiano Vini, non sarebbe mai rientrato a casa. I Pelizzatti Perego, invece, erano tornati. Passano venti anni dalla nascita di Ar.Pe.Pe. e trenta dalla morte di Guido; Arturo non è più solo. La quinta generazione “viticola” dei Pelizzatti Perego è pronta a entrare in un’azienda avviata verso la graduale riconquista degli spazi perduti. Due figli di Arturo, Isabella ed Emanuele, decidono di affiancare il papà nella conduzione aziendale (Guido, il secondogenito, intraprende invece un’altra strada pur collaborando con i fratelli nell'ambito della comunicazione). Arturo ha poco più di sessant’anni e ancora tanta esperienza da tramandare. Ma nel 2004 il suo tempo è scaduto. Come papà Guido anch’egli scompare a dicembre, anch’egli dello stesso male. Ar.Pe.Pe. è privato del suo fondatore. Oggi alla guida dell'azienda ci sono ancora Isabella, che si occupa della cantina ed Emanuele che lavora la vigna, convinti ed orgogliosi di un padre che forse fisicamente non c'è più ma che tramite il suo pensiero vive ancora con loro e i vini dell'azienda ne sono espressione. "




E vi assicuro che io, che sono stato in Valtellina in visita all'azienda, ho potuto conoscere Isabella ed Emanuele, ho visto le vigne e assaggiato per la prima volta i loro vini  ho capito perchè questa famiglia produce vino da più di cento anni.